La monotonia di azioni e situazioni provoca un livellamento nei ricordi e nelle emozioni, e diventano predominanti uno o due di essi. Così ci ritroviamo a pensare al passato tramite questo o quello e lo associamo a tutta l'epoca che prendiamo in considerazione. Un evento di rottura parziale, o meglio ancora, totale, invece, provoca un acuirsi delle sensazioni e dei ricordi legati al periodo che viene delimitato, circoscritto, da questo evento.
Anche se capita in giovane, giovanissima, età.
E allora, se il legame con quello che è stato è forte, ci ha coinvolto positivamente, 'tutto quello che amiamo diventa racconto'. E ce lo si racconta finché fantasia e ricordo non si aggrovigliano in maniera inestricabile, ma sempre senza ledere la sostanza dell'una o dell'altro, diventando però una 'musica' che mette 'a nudo il turbamento che ci ha conquistati'.
E' questa la premessa di 'La nostalgia felice' (edizioni Voland), in cui Amélie Nothomb racconta il suo secondo ritorno in Giappone, nel marzo 2012 (a un anno dal terremoto di Fukushima), in occasione di un 'reportage sulle tracce della sua infanzia giapponese'.
Un viaggio nella memoria, oggettiva e sensoriale, nella nostalgia 'felice' cioè nella natsukashii, 'l'istante in cui la memoria rievoca un bel ricordo che la riempie di dolcezza', e in quella reale, nel presente, da capire e da vivere.
Un viaggio che non è un giro turistico, ma un'avventura dei sentimenti della protagonista, dove passato e presente si intersecano in un mosaico sì mentale, ma anche reale, fatto di luoghi, di persone, coi loro ricordi, con le loro vite, e che, una volta conclusosi, una volta tornata 'a casa', finisce per richiudersi su se stesso, in un guscio che, per quanto sottile, diventa quasi infrangibile, 'il muro dell'indicibile', che è meglio attraversare senza riguardi per raggiungere altro.
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