'Quando è che mi sono perso, ecco la vera domanda...'.
Inizia così 'Scimmia nera' (edizioni Voland) di Zachar Prilepin, e in questa frase è forse racchiusa la chiave di lettura della storia. Una storia in cui si intreccia la ricerca di un giornalista su un caso di bambini-assassini e su un luogo in cui soggetti, autori o potenziali autori di simili azioni, vengono studiati, e la vita del giornalista stesso, fra il fallimento del suo matrimonio, che non lede però l'affetto e la tenerezza verso i figli, e il rapporto con l'amante, che si intersecherà con la sua infanzia attraverso personaggi conosciuti o solo intravisti.
'Scimmia nera' è un libro complesso: non sempre si districa la realtà del racconto dei fatti, da quella della ossessione fantasticata che, in parallelo, viene descritta. O meglio: le due cose sembrano scorrere una a fianco all'altra, probabilmente una all'esterno e l'altra all'interno del soggetto che le racconta, senza confonderle, in quanto generatore di entrambe.
Nonostante tutto questo, la lettura è facile e coinvolgente, perchè, nonostante sia 'chiaro che le parole non hanno senso' ... 'poichè siamo noi ad aver inventato ... le parole stesse e tale invenzione è evidentemente assurda, straordinariamente disarmante', alla fine un significato, nel finale più che mai aperto all'interpretazione, risulta evidente: la denuncia della 'nostra folle stupidità'.
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