lunedì 29 agosto 2011

Patologia

Certe volte ho l'impressione che le parole, pronunciate alla leggera, a proposito e a sproposito, travisandone e adattando il loro significato al nostro comodo, perdano di significato.
Ce ne sono diverse che subiscono quotidianamente questa sorte.
Una di esse è guerra.
Immagino non ci siano molte possibilità di fraintenderla, questa, eppure ho la bruttissima impressione che abbia subito una sorta di declassamento significativo e, soprattutto, emotivo.
Fa più 'notizia' che paura, e la si usa come sinonimo di una cosa eccezionale, preferibilmente positiva.
Paragone che arriva strano alle orecchie di chi si è sentita raccontare ben altre cose a proposito di quell'evento nefasto che è una guerra.
Sarà per questo che certi libri me li vado a cercare.
Perché, testimonianza diretta o realtà letteraria, ci trovo dentro quella cosa lì e non altro.
E non per un gusto del macabro, ma per non perdere il contatto con una verità il più delle volte sottovalutata, e, ancora più spesso, travestita d'altro.
In 'Patologie' di Zachar Prilepin -Voland-, Egor Tasevskij (sulla prima s c'è la piccola v -per leggerla sh- ma come al solito non so come mettercela! :( ) è un giovane appartenente ai corpi speciali russi in missione a Groznyj [l'esperienza Cecena l'ha provata, da protagonista, nello stesso ruolo Zachar Prilepin].
Missione di 'ripulitura del territorio circostante' (eufemismo tecnico), che, con i suoi colleghi si appresta a portare avanti con giovanile freschezza e matura paura, perché quello è il suo, il loro, compito.
E la cruda realtà della guerra si presenta ai suoi come ai nostri occhi per quella che è.
Il cinismo è allora l'ancora di salvezza per non affondare nella realtà, ma non è una maschera per i sentimenti, e la spavalderia, a volte infantile, è un travestimento per il coraggio.
In certe situazioni 'estreme', anche i comportamenti diventano 'estremi', ma i protagonisti di 'Patologie' sono esseri umani, e come tali agiscono.
Non la perdono mai questa loro peculiarità.
Non ci sono eroi, ci sono soldati che fanno il loro dovere al meglio delle loro possibilità, cercando, quando e per quanto possono, di alleviare la tensione e di coltivare l'amicizia, rimpiangendo pure, a volte, di non essere a casa, ma mai questo ritorno è desiderato come conseguenza di un atto che porti loro disonore.
La vicenda umana di  Egor Tasevskij, però, è complessa. (E si intuisce, da pochi accenni, lo siano anche quelle di parecchi altri suoi colleghi.)
Il resoconto della missione di guerra si alterna al racconto degli episodi salienti della sua vita, del rapporto con le persone per lui importanti: il padre (della madre non ha ricordi), la cagna Daisy che aveva da bambino (se ci cresci, con un animale, la sua figura è equiparata a quella di uno di famiglia), la ragazza Dasa (s=sh), di cui è innamorato e morbosamente geloso.
Le Patologie del titolo (anche originale! :) ) sono allora, probabilmente, tutti gli atteggiamenti riportati, di Egor come degli altri, e, forse, pure la postfazione con cui si apre il romanzo:
"Quando attraverso il ponte, sono spesso tormentato dalla stessa visione.".
Non c'è modo di sapere se questa visione sia frutto della sua immaginazione o ricordo.
In teoria come in pratica può essere entrambe. ;)))
E' comunque una caratterizzazione efficacissima del personaggio, dei suoi sentimenti, del suo modo di essere, perché, strano dirlo dopo aver evidenziato tanto la componente 'guerresca' del romanzo, 'Patologie' è un romanzo di sentimenti, di quelli profondi, di quelli che si trovano in ognuno di noi.


martedì 23 agosto 2011

CITAZIONE MUSICALE n°32

"Non voglio più amici, voglio solo nemici
Non voglio più amici, voglio solo nemici..."

[Litfiba - Tex ]

(Forse si vive più tranquilli.)

CITAZIONE LETTERARIA n°32

"A volte bisogna agire anche avendo la certezza che non si verrà compresi."

[Amélie Nothomb - Il viaggio d'inverno - Voland]

(Non è quello, l'importante. :P)

martedì 16 agosto 2011

STORIE

"Questo libro prende le mosse da storie reali. Le ho scelte perché a lungo mi hanno suggestionato...", dice Marco Mancassola nella nota introduttiva a 'Non saremo confusi per sempre' edito qualche mese fa dalla Einaudi.
Sono storie con cui tutti quelli di una certa generazione hanno convissuto, più o meno consapevoli dell'effetto di esse sulla propria crescita, sulla propria maturazione come individui.
Sono episodi di cronaca che hanno come protagonisti persone giovani, a volte molto molto giovani, e la cui vita trova termine, immediato o prolungato, nell'atto stesso di cui sono forzati protagonisti.
Sono casi che, per un motivo o per un altro hanno suscitato un'attenzione particolare nel pubblico, che, coinvolto dalle circostanze, si è trovato a partecipare sentimentalmente di questi stessi eventi.
Ma qualcuno si è mai soffermato più a lungo di qualche momento a farsi partecipe dei sentimenti dei protagonisti stessi?
Senza dubbio si, ma non per molto.
Non per cattiveria o disinteresse: perché fa male.
Ed è un dolore tanto più insopportabile per l'impotenza a mettere fine a quel che lo ha generato.
Certe volte, però, si sente la necessità di affrontare quel dolore per superarlo.
Non so quanto abbiano abitato in lui, in Marco Mancassola, 'come fantasmi', queste storie, ma di sicuro è stata una necessità riportarle all'attenzione del pubblico.
O meglio: la necessità è stata quella di focalizzare l'attenzione del pubblico sui soggetti umani di quegli episodi.
E così, in parallelo, c'è la cronaca e c'è l' oggetto della cronaca.
Non sempre esso/essa parla in prima persona. A volte, data la situazione, serve un'altra voce per far uscire la sua, ma sempre il suo punto di vista viene raccontato.
E la scelta del racconto non è un caso.
I titoli delle cinque storie sono titoli per fiabe.
Perché la fiaba è il solo mezzo per filtrare la realtà, quando, più del solito, è dura, e accettare una fine che, se lieta non è, osservata più dall'alto riesce, per lo meno, ad avere una parvenza di consolatoria accettabilità.
'Non saremo confusi per sempre' è un libro 'duro', ma allo stesso tempo, dolcissimo.
Ti fa star male, perché i fatti sono fatti e non invenzione, ma ti fa battere più forte il cuore perché la speranza che nell'intimo di ognuno il lenimento della sofferenza possa aver luogo è un desiderio appagabile.