domenica 27 aprile 2014

'Long way down'

Ci sono dischi che vanno riascoltati con le parole davanti, perché solo allora ti rendi conto del perché ti sono piaciuti al primo ascolto.
Le parole, accompagnate dalla musica, non sempre arrivano al cervello nella loro piena essenza: il suono delle stesse lascia, talvolta, in secondo piano il significato.
Quando poi le due cose tornano insieme è un'esplosione di sensazioni.
E' vero, 'Long way down' di Tom Odell l'ho forse preso per un paio di canzoni che avevo sentito, forse le più facili, da sole, a restarti dentro, e perché lui mi ricorda, per associazione mentale, tante cose.
Una volta ascoltato il disco per intero, però, la certezza di aver davanti qualcosa di bello è stata quasi sconcertante.
L'ho riascoltato e riascoltato ancora, ma solo dopo aver fatto riposare le orecchie ho letto un po' i testi.
Definirli poetici è riduttivo: la canzone è poesia in musica.
Questi, nella loro chiarezza e semplicità, sono anche profondi, coinvolgenti, veri.
E il disco, in questa luce, è di una coerenza e di una gradevolezza fenomenale.
In una parola: bellissimo.

CITAZIONE MUSICALE n°64

"...if I fell in love a thousand times,
would it all make sense?"

[Tom Odell - Sense]

(Maybe... yes, it makes sense!)

CITAZIONE LETTERARIA n°64

"Innamorarsi è il fenomeno più misterioso dell'universo."
 
[Amélie Nothomb - Barbablù - Voland]
 
(sorriso)
 

 

Quattordicenni

Se è stato il titolo (una volta tanto tradotto letteralmente) o le trentatrè righe del primo capitolo, a convincermi a comprare Sacha Sperling, 'Le mie illusioni danno sul cortile' (Einaudi), non lo so: di norma le storie dei quattordicenni non sono il mio argomento di lettura preferito.
Si, è vero, ...Christiane.
Ed è vero pure che, forse, è stato aver letto della  sua 'seconda vita' a farmi leggere di questo quattordicenne parigino di adesso, Sacha appunto, di cui la quarta di copertina dice solo che vive nella capitale francese e che ha scritto questo suo primo romanzo a diciott'anni.
E questa affermazione, senz'altre smentite data per vera, mi ha fatto pensare.
Diciott'anni: sei maggiorenne, puoi fare, dire, scrivere, quello che vuoi, in piena responsabilità e coscienza di farlo.
L'argomento del libro è, per episodi successivi e concatenati, la vita di Sacha nel primo anno di scuola superiore, l'amicizia con un coetaneo, il rapporto col piccolo gruppo di amici che ha da sempre, quello con la famiglia.
Non me lo ricordo quel che pensavo, dicevo, volevo,  a quattordici anni. Ricordo solo di chi ero innamorata (più di uno, si.), e quindi, forse, ha ragione lui a dire che abbiamo dimenticato di quando ci siamo trovati catapultati nella 'vita' senza poter far niente.
Implica, però, questa cosa, lo 'sballarsi' per accettarla?
Non lo so.
All'epoca, si, questo me lo ricordo, qualcuno lo ha fatto, e... ma si è sempre detto, pensato, che un disagio fosse alla base di questi comportamenti.
Una implicita giustifica.
Il 'disagio', però, la 'barriera da saltare' che quella età rappresenta, sono sempre gli stessi, in ogni epoca. E 'il rimedio' pure.
E' triste questa cosa.
E' triste constatare come nulla sia cambiato.
In fondo 'tutto' ce l'avevamo anche vent'anni fa, quindi non è di questo che si può venire accusati.
E un libro non è la sede per trovare soluzioni, ma può, nuovamente, metterti di fronte a un problema: l'adolescenza esiste, e va 'superata'.
Il Sacha del romanzo lo fa e può raccontarlo, con le parole di un Sacha che non ha più quattordici anni.
E' strana la sensazione che si ha leggendo: parla il quattordicenne, ma chi lo fa parlare non lo è più, e non perché è scritto in quarta di copertina, ma perché quella 'barriera' l'ha saltata.
La storia, episodi di vita, uno sperimentare l'amore, 'normali', in fondo in fondo non si distaccano molto dalla media delle esperienze di ognuno: cambiano i luoghi, i fatti, ma la sostanza è la stessa.
E, probabilmente, anche quella necessità, ormai dimenticata, di 'sballare', pure se ciascuno di noi l'ha assecondata in maniera diversa e non necessariamente estrema.
Un raffronto con Christiane mi è venuto spontaneo, mi è venuto spontaneo considerare che, forse, c'erano altri 'ideali' per comportarsi in una certa maniera, prima, e, invece, adesso no, però, ad una più attenta analisi, l'unica considerazione possibile è questa: niente è cambiato e niente cambierà, ma la forza di sopravvivere ci sarà sempre, a guidarci, perché solo chi si arrende davvero è davvero perduto.

venerdì 25 aprile 2014

Perla ritrovata 2

Lui e lei al B.K., un vassoio in due com'è prassi, si allontanano dal bancone per cercare un tavolo.
E' libero quello piccolo che fiancheggia la rampa a elle che porta al piano superiore. Ed è questo che lui sceglie, spiegando a lei: "Così siamo più in intimità...".
(no comment)

giovedì 17 aprile 2014

Racine carrèe

Ogni tanto mi capita di prestare attenzione a quel che passa in televisione.
In questo caso è stato per due volte, ad una distanza di tempo notevole fra l'una e l'altra.
Nel frattempo, forse, mi è rimasta impressa questa voce, questa musica.
Non posso dire che i commenti suscitati in altri dal look sfoggiato nella seconda occasione fossero gratuiti, e si, per un attimo, questo ha distratto anche me dall'ascolto.
Ma a tutto c'è un perchè, sempre.
Non ho ricordato chi era questo giovane, dove l'avevo già sentito, nè il nome, Stromae, mi ha aiutato.
Internet, invece, si, e dopo la ovvia ricerca di chi fosse, neanche a farlo apposta la prima canzone su cui ho fatto 'click' è stata proprio quella della prima volta in tv: 'Tous les même'.
Mi sono bastati pochi secondi per ritrovare il video che mi aveva gradevolmente incuriosito.
"Adesso ho capito!", mi sono detta e ridevo!
Ho ascoltato anche altre canzoni e mi sono piaciute, così sono andata a comprare, in piena consapevolezza, 'racine carrèe', e più lo ascolto più mi piace.
Ha un ritmo, una sonorità, che mi fanno venir voglia di ballare.
Piccola pecca: invece del miniposter avrei preferito i testi delle canzoni.
Me li dovrò cercare.
Nel frattempo ho trovato anche il video di 'Papaoutai', e il perchè di quel 'look' notevolmente  più sconvolgente, davanti ad un pubblico in studio, dell'intero video di 'Tous les même', mi è stato finalmente chiaro e giustificato.

Delle ombre

La 'Teoria delle ombre' è un corposo capitolo di qualsiasi manuale di disegno -architettonico, in particolare-.
Qui viene spiegato che cos'è un'ombra propria e un'ombra portata, come costruirle, come rappresentarle, assieme alla sorgente luminosa che le determina, in assonometria e in prospettiva.
E' un capitolo affascinante ma complesso, di cui viene esaltata l'importanza, ma mai abbastanza.
Disegnare è raccontare per immagini, scrivere è disegnare con le parole.
E allora c'è bisogno anche qui delle ombre.
In senso metaforico, certo, e forse sono quelle più conosciute, più utilizzate, più studiate, ma anche in senso reale: si deve, cioè, tenerne conto.
Baciarsi seduti a terra alla base del muro o in piedi sul ciglio del molo, in un mattino d'estate -e quindi con l'ora legale!-, è diverso, in termini di ombre e di luce, se sei sul Quai des Grands Augustins o sul Quai de Béthune!
Provare per credere! :D

venerdì 11 aprile 2014

Christiane

Quando 'Christiane F., Noi i ragazzi dello zoo di Berlino' è uscito,  ero troppo piccola per leggerlo autonomamente. Mi spiego meglio: il libro non c'era in casa, non potevo, per una mia curiosità, per volontà, 'raggiungerlo' come è stato per altri libri che non facevano parte della mia personale biblioteca. Magari non mi avrebbe neanche suscitato interesse a quell'età.
Neanche qualche anno più tardi, devo ammetterlo, neanche quando la droga è diventata una presenza reale ai vari livelli di lontananza o vicinanza nella vita di tutti, neanche e soprattutto quando tutti lo leggevano: non ho mai sopportato di fare una cosa, di leggere un libro, perché 'si deve fare', perché gli altri lo facevano.
Meno male che, nonostante il clamore e la violenta, e forse anche poco accorta, educazione alla non-droga di quegli anni, nessuno mi ha obbligato a leggerlo, lo avrei odiato.
Ma, d'altra parte, non è mai finito, finché sono stata a scuola, anche se a pezzi, in una di quelle antologie mai usate in classe ma tanto, da me, utilizzate fra un altro libro di testo e un altro ancora.
Lo stesso dicasi per il film, anche se poi, fino all'avvento dei riproduttori casalinghi, non c'è stata occasione di metterci lo sguardo sopra. Il televisione non l'ho mai incontrato.
Al fascino della locandina, del volto rassegnato, deciso, triste, dolcissimo, di Natja Brunkhorst, e, non posso negarlo, di David Bowie, presenza 'reale' nel mondo 'd'illusone' del cinema (e qui ci starebbe bene un'analisi approfondita di quest'idea, che può sembrare assurda e paradossale, ma che in fondo non lo è, e invita, piuttosto ad osservare, a capire, quel che ha un significato e in che misura, per chi ha un'età diversa -in generale- da noi), sono sempre stata un po' sensibile.
E pure a quell'atmosfera da 'proibito', compensata e sminuita, però, dall'effetto 'moda'.
Finalmente, a mente libera, alcuni anni fa (parecchi da adesso, facendo due conti!), il libro l'ho comprato e l'ho letto.
E me ne sono innamorata alla follia.
Non credo gli adulti dell'epoca lo abbiano fatto.
Troppo coinvolti, forse, troppo impreparati a una realtà che non è mai stata, a differenza di quella della mia generazione, di poco discosta da quella di Christiane, la loro.
Non così 'sfacciatamente' almeno.
Me ne sono innamorata, dicevo, ha un posto 'speciale' nel cuore e nello scaffale dei libri 'speciali'.
Probabilmente perché l'ho letto quando ero in grado di capirlo, di immedesimarmi, pur standone al di fuori, perché la memoria di fatti e persone ha giocato il suo ruolo, perché i miei sentimenti si sono mischiati a quelli di Christiane.
Ed è appunto 'sentimenti' la parola chiave, il motivo, l'argomento di 'Noi i ragazzi dello zoo di Berlino'.
E' si, un libro che denuncia uno stato di fatto, ma è soprattutto un libro che parla d'amore e di sentimenti.
Ed è questo, quello di cui non si sono resi conto, non sono riusciti a fare, tutti colori con i quali ne ho parlato, entrando casualmente in argomento, che mi hanno detto di averlo letto all'epoca, all'età di Christiane nel racconto, e il cui commento è stato che ne erano rimasti sconvolti.
Si, certo, è sconvolgente scoprire che dei ragazzini facciano tutto quello, ma ha molto più significato fermarsi a capire perché lo fanno.
E il libro lo dice.
Ma forse la generazione adulta dell'epoca non ha ritenuto opportuno proporre una soluzione diversa ai problemi alla base di certi comportamenti, magari semplicemente non è stata in grado di farlo, e accusando il fenomeno non lo ha risolto, negando probabilmente, nel caso di questo libro, la possibilità di capirlo.
Si sarà detto di puntare sullo strazio per evitare l'imitazione, ma la conoscenza e la comprensione di un fenomeno sono armi migliori della proibizione, dell'impatto sull'impressione, per contrastarlo.
Il film, la visione, appunto, di questa realtà, che di 'immaginato' non ha nulla, come dicevo, all'epoca, per me e per gli altri, ha avuto lo stesso destino del libro, ma poi, quando l'ho comprato, in dvd, in un altro momento imprecisato posteriore al libro, e l'ho guardato una sera, in perfetta solitudine, mi ha dato le stesse sensazioni, le stesse emozioni del libro. Ho chiuso gli occhi solo quando l'ago buca la pelle: era troppo vicino. Al cuore, forse.
Comunque sia, ormai, per me, Christiane è Christiane (la chiamo Christiane F., quella de 'I ragazzi dello zoo di Berlino' solo per farmi capire, con gli altri), e da qualche mese in libreria c'è Christiane V. Felscherinow con Sonja Vukovic, 'Christiane F. La mia seconda vita'.
L'ho guardato e riguardato, in copertina  c'è sempre la  Natja Brunkhorst della locandina del film, e, vincendo la paura di un 'seguito' l'ho comprato.
Beh, non lo è, un 'seguito', anche se, si, Christiane racconta, fa sapere, ci mette a conoscenza, della sua vita dal film in poi.
Come lei stessa dichiara non ha avuto una vita facile, non la ha adesso. Errori, debolezze, situazioni mal gestite, sono la causa di un vivere alla ricerca della tranquillità attraverso però un mezzo che ne dà solo l'illusione e provoca la distruzione di sè.
In questo secondo 'capitolo', la Christiane ragazzina (perché ognuno di noi è sampre la/il ragazzina/o che è stata/o) ha per involucro una donna adulta, cosciente e responsabile di sè e della sua dipendenza dalle droghe, una donna lucida, che non giustifica e non rinnega gli errori, ma che spiega, a sè e agli altri, i motivi, le cause.
Come ha fatto in precedenza, in effetti.
E come in precedenza, ci si rende conto che il passo che divide una situazione dall'altra è quello che è: un passo, appunto. E quanto, in tutto, giochino i sentimenti, provati e subiti, buoni e cattivi, propri e altrui.
L'età diversa, lo sguardo sul mondo, rendono questo racconto più 'leggero', ma il dramma è sempre lo stesso: quello di una persona che convive con la dipendenza ed è quindi costretta a vivere con se stessa e con gli altri in una certa maniera, a certe condizioni.
E' un dato di fatto, e lo sarà sempre, se non per se stesso, per le sue conseguenze, se non all'esterno, all'interno.
E Christiane lo sa, e lo accetta.
Si può andare avanti e migliorare, ma quel che è stato è stato, e c'è molta più maturità nell'accettarlo che nel lasciarselo alle spalle.
Auguri, Christiane.
 

martedì 1 aprile 2014

Un motivo c'è.

" << Il riso >>, annunciò (Weston) << è il primo segno di attrazione sessuale >>. "
 
[Christopher Isherwood - Leoni e ombre - Fazi editore]
 
(risata)
 
No, in certe occasioni non si ride a vanvera, anche se può sembrare così. Quella risata vuol dire tante cose, magari, soprattutto quel che fa presente Isherwood.
Ma l'occasione mi fa tornare in mente anche una canzone: Ridere di te di Vasco Rossi.
Intera intera.
E sorrido.
Perchè forse, ridere sarebbe chiedere troppo.