lunedì 16 giugno 2014

'Il serpente di Dio'

Forse un romanzo chiaramente identificabile come tale, dopo quattro narrazioni di storie dichiaratamente definite di ispirazione autobiografica, qualcuno non se lo sarebbe aspettato da Nicolai Lilin. Un frutto, questo, forse del pregiudizio.
'Il serpente di Dio' [Einaudi] è sì un vero romanzo, ma lo erano stati anche gli altri, perché è il modo di scrivere, oltre alla storia, che fa il romanzo; è quando in ogni personaggio, in ogni situazione proposta, c'è sia chi scrive che chi legge.
Nicolai Lilin sa raccontare. Sa catturare l'attenzione e coinvolgere; sa farti partecipe dei sentimenti dell'uno e dell'altro, perché ogni realtà è effettiva, ognuno ha le sue ragioni, per quanto giuste o sbagliate, per agire in una certa maniera. E lo ha dimostrato sempre.
Ora, però, ha deciso di lasciar agire i personaggi, che erano legati ad una certa realtà, in un'altra, simile, ma tutta loro.
Il luogo dell'ambientazione è il Caucaso, dove cristiani e musulmani si combattono, come in tutte le guerre, col contrasto e col consenso delle autorità, ma dove pure, una piccola comunità, abituata a vivere veramente a contatto con la natura e le sue regole, ha stipulato un  patto che lega i loro appartenenti alle due religioni, in un vincolo indissolubile, basato sul rispetto dei valori di entrambe, perché 'Dio è unico e non cambia la sua natura a seconda della maniera in cui viene lodato, perché il suo linguaggio comprende ogni cuore, ogni pensiero, ogni anima.'.
E la comunità, oggetto delle mire, per ragioni diverse, di tutte le forze in gioco, si adopererà per proteggere ad ogni costo questo vincolo, affidando ciò che simbolicamente lo rappresenta, alle due persone, due ragazzi, Andrej e Ismail, che, materialmente ne costituiscono la messa in pratica.
Sono loro, in funzione di questo compito, i protagonisti della vicenda, ma protagonisti sono pure Konstantin, l'agente dei servizi segreti federali implicato nel traffico di droga, il fuorilegge Hassan, suo complice sul campo, Aleksej Novak, il capitano dei sabotatori, che ha fatto della lotta al terrorismo la sua missione.
Ognuno di loro, come tutti gli altri del resto, ha la propria storia, che deve essere raccontata.
E Nicolai Lilin lo fa, intrecciando le vite di tutti e facendole convergere nell'episodio che è raccontato ne 'Il serpente di Dio'.
Serpente che costituisce l'elemento soprannaturale della narrazione, l'apparizione che determina un agire.
Accanto alle descrizioni, Nicolai Lilin espone pensieri, considerazioni, giudizi, mai fuori luogo però, anzi a completamento e a spiegazione di certe azioni, facendo venir fuori un modo di scrivere che non è saccente e noioso, ma intelligente e gradevole.

P.S.: Da qualcuno, da qualche parte, sono state indicate le armi come le vere protagoniste del romanzo. Esse hanno indubbiamente il loro ruolo, essendo un romanzo ambientato in una zona e in un periodo di guerra, ma costituiscono solo un elemento di conoscenza di una realtà che quando si tratta di altri argomenti non sentiamo alcuna necessità di negare.

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