Stamattina, non so perché, parlavano di loro alla televisione, e mi è venuto spontaneo pensare che, in effetti, Ferragosto, il culmine non cronologico dell'estate, è Lucio Battisti e le canzoni di Mogol.
Le canzoni delle estati dell'adolescenza, che, forse, negli anni ottanta, non sapevamo neanche di star vivendo, delle estati in cui si tornava a casa prima di mezzanotte, tranne quando c'erano i fuochi d'artificio (il 16, S. Rocco), delle feste in piazza, quelle che cantavamo ad alta voce di notte per strada.
In 'Viaggio di nozze', [Pickwick], Patrick Modiano dice: "Da quale momento della vita l'estate mi è sembrata all'improvviso diversa da quelle che conoscevo? Sarebbe difficile stabilirlo, non c'è un confine preciso.".
E' vero, non c'è. Però, forse, una specie di linea di demarcazione, anche se distribuita a tratti negli anni, è possibile tracciarla a partire da quando quelle canzoni, d'estate, non le abbiamo cantate più. Non che siano state dimenticate, tutt'altro, ma erano ormai 'passato'. Non musicale, ma di vita.
Di quella giocosa e spensierata che guardava al futuro senza badarci troppo. Di quella in cui bastava poco, con lui o lei a due passi più in là, per sognare.
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